Urla in Commissione Vigilanza Rai: Gasparri continua a interrompere Ranucci, Floridia si inalbera

Non è stata un’audizione, è stata un’arena. Quella andata in scena in Commissione di Vigilanza Rai non è stata una normale seduta di controllo parlamentare, ma uno spettacolo caotico, un “siparietto” – come lo ha definito la stessa Presidente Barbara Floridia – che ha messo a nudo la tensione e l’insofferenza di una parte della politica verso il giornalismo d’inchiesta. Protagonisti: Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore di Report, convocato in audizione; Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, nel ruolo di incursore; e la Presidente Barbara Floridia (M5S), lasciata sola a difendere disperatamente il decoro istituzionale.
Il clima si è incendiato quasi subito, ma la deflagrazione è avvenuta durante la replica di Ranucci. Mentre il giornalista rispondeva punto per punto alle contestazioni, il senatore Gasparri ha iniziato una serie di interruzioni costanti, parlando a voce alta, senza microfono e senza aver chiesto la parola. Un vero e proprio atto di ostruzionismo parlamentare che ha mandato su tutte le furie la Presidente.
“Non le ho dato la parola, senatore Gasparri! Non mi può parlare addosso!”, ha tuonato la Floridia, cercando di riprendere il controllo dell’aula. Ma Gasparri, imperterrito, ha continuato a rumoreggiare, finché non è esploso nel micro-dramma che ha segnato la seduta.
Mentre Ranucci parlava delle repliche del suo programma, Gasparri ha sbottato: “Io chiedo la parola!”. La replica della Presidente Floridia è stata secca, glaciale, e destinata a rimanere negli annali della Vigilanza: “E non gliela do! Un attimo. Faccia rispondere l’audito e poi gli do la parola. Non è rispettoso di questa presidenza e di questa commissione. Senatore Gasparri, lei continua a parlare nonostante non le abbia dato la parola. Abbia rispetto di questa presidenza!”.
Uno scontro istituzionale durissimo, con un senatore che di fatto rifiutava l’autorità della presidenza e una presidente costretta a richiamare all’ordine un membro della sua stessa commissione come se fosse uno studente indisciplinato. Un “siparietto”, appunto, che la dice lunga sul nervosismo che circonda la trasmissione di Ranucci.
Ma oltre al caos, c’è la sostanza. E la sostanza è che Sigfrido Ranucci, messo sotto attacco, ha risposto con una calma glaciale, smontando le accuse con la precisione di un chirurgo, usando l’unica arma che conosce: i fatti.
L’audizione era iniziata con un Ranucci determinato a difendere non solo il suo lavoro, ma l’essenza stessa del giornalismo. Ha parlato della difficoltà di usare termini come “genocidio” per la Palestina in Rai, ma ha sottolineato di essersi sentito “libero” di farlo, nonostante le pressioni. Ha poi raccontato un episodio emblematico: lo stagista licenziato (per “una coincidenza particolare”) dopo aver fatto una domanda scomoda. Ranucci ha rivelato di averlo chiamato, di avergli dato solidarietà e di volerlo nella sua squadra, “perché ha dimostrato una qualità che è rara tra politici e giornalisti: quello del coraggio”.

È stata anche una lezione di giornalismo. Incalzato dal suo stesso direttore sul “pluralismo”, Ranucci ha messo i puntini sulle ‘i’. Ha rivendicato la sua totale assenza di “appartenenza politica”, spiegando che per lui “una notizia è una notizia, non ha un colore politico”. Ha difeso Report dal non essere “pop” o “mainstream”, portando un esempio fulminante: l’inchiesta sul Garante della Privacy. “Se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto ‘guarda che vai in onda battendo Fazio e Le Iene in prima serata parlando del Garante della Privacy’, avrei detto ‘cambia spacciatore’. Perché è un tema che ha il sex appeal di un manuale di una caldaia”. Eppure, Report ci è riuscito.
È quando Gasparri ha provato a entrare nel merito delle inchieste, però, che Ranucci ha affondato i colpi migliori.
Primo round: l’audio di Sangiuliano. Gasparri ha cercato di sminuire lo scoop, sostenendo che “Telese ed altri avevano l’audio”. Ranucci ha sorriso: “Sì, però probabilmente non avevano l’altra notizia che avevo io. Che quell’audio aveva una data che coincideva con la data dell’esposto mandato da Sangiuliano… Io avevo un’informazione che gli altri colleghi […] non potevano avere”. In sintesi: gli altri avevano l’audio, Report aveva la notizia.
Secondo round: l’inchiesta su Stefano Delle Chiaie e la strage di Capaci. Gasparri ha tirato fuori un lancio ANSA e un’archiviazione giudiziaria per smentire il lavoro di Report. Ranucci, di nuovo, lo ha gelato. Ha spiegato pazientemente al senatore che “non ha visto la puntata successiva”, dove Report ha mandato in onda un nuovo testimone, un collega del Giornale di Sicilia, che raccontava fatti “postumi all’atto giudiziario” citato da Gasparri. “Guardi, le posso consigliare solo di vedere la prossima puntata… si deve fare una ragione, rassegnarsi alle notizie”, ha chiosato Ranucci tra le continue interruzioni del senatore.
Ma il colpo da KO, l’umiliazione definitiva, è arrivata sull’ultimo attacco. Gasparri ha cercato di screditare una delle fonti di Report, definendola un “bugiardo” e un “delinquente”. Ranucci ha lasciato che il senatore finisse, poi ha sganciato la bomba. Ha identificato la fonte (Di Roberto, condannato in primo grado) e ha replicato: “Voglio ricordarle che voi gli avete affidato come partito le ‘liste civetta’!”.

Gelo in aula. Il messaggio era devastante: l’uomo che Gasparri definiva un delinquente inutilizzabile come fonte giornalistica era, per la sua stessa parte politica, un uomo affidabile, tanto da affidargli un compito politico delicato. “Voglio ricordarlo”, ha insistito Ranucci sovrastando le nuove urla di Gasparri, “perché quando accusa noi di avergli dato spazio, voglio ricordare che lo spazio…”.
Infine, il tema delle repliche, usate spesso come clava per accusare Report di costare troppo. Anche qui, Ranucci ha ribaltato l’accusa in un vantaggio manageriale. Ha snocciolato i dati: “Le repliche… fanno un ascolto di un milione, che si aggiunge ai quasi 1 milione e 7 che fanno in prima ondata”. Non solo: “Hanno il pieno di pubblicità anche là, compreso del ‘Golden Minute’, cioè dello spot pubblicitario più prezioso. Quindi privarsi delle repliche, insomma, sarebbe un danno manageriale e anche per la Rai”.
L’audizione si è chiusa così, con un Ranucci che ha difeso il suo operato non solo sul piano etico e giornalistico, ma anche su quello economico e fattuale, e un Gasparri ridotto a urlare senza microfono, costantemente richiamato da una Presidente Floridia visibilmente esasperata. Un “siparietto”, certo, ma che ha mostrato in modo plastico la differenza tra chi cerca la notizia e chi, forse, la teme.
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