Travaglio Demolisce Salvini in Diretta TV: Il Governo Trema.
È successo in diretta televisiva nazionale, davanti a milioni di spettatori. Un momento di televisione che si è trasformato istantaneamente in un caso politico di proporzioni enormi. Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, ha preso la mira e ha fatto fuoco contro Matteo Salvini, leader della Lega e Ministro delle Infrastrutture.
Non è stato un semplice battibecco. È stata una “demolizione controllata”, chirurgica, sferrata con parole che hanno gelato lo studio. L’attacco è culminato in una frase secca, glaciale, devastante, che non era solo una critica, ma un consiglio non richiesto e velenoso indirizzato direttamente alla Premier: “Se fossi Giorgia Meloni, lo caccerei oggi stesso e lo farei ministro del nulla”.
Questa frase è esplosa come una bomba nei corridoi del potere. Non era solo un giornalista che esprimeva un’opinione; era un attacco frontale alla credibilità di uno dei ministri chiave del governo, e per estensione, alla stabilità dell’intera maggioranza. Travaglio ha colpito con “l’eleganza di un chirurgo e la brutalità di un boia”, e il silenzio che è seguito in studio è stato assordante.
Ma cosa ha portato a un’esecuzione mediatica così brutale? Travaglio ha costruito il suo attacco non su opinioni, ma su quello che ha definito un elenco di fallimenti fattuali. Ha dipinto il ritratto di un leader politico che “non ha più nulla da dire né da dare al paese”. L’affondo più pesante è arrivato sul ruolo attuale di Salvini. “Ministro dei social, non delle infrastrutture”, ha sentenziato Travaglio. Ha elencato un rosario di problemi irrisolti: “treni fermi, cantieri fantasma, infrastrutture in crisi, scioperi ignorati”. L’accusa è chiara: mentre l’Italia fatica, Salvini “posta meme su TikTok”.
Il direttore non si è fermato qui. Ha rievocato con precisione puntigliosa il mandato di Salvini al Ministero dell’Interno, definendolo “pura scenografia”. Per dare il colpo di grazia, ha raccontato un “episodio grottesco”: Salvini in diretta Facebook dal balcone del Viminale, “aggredito dai piccioni”. La battuta di Travaglio è stata feroce: “Nemmeno loro l’avevano mai visto lì”, scatenando una risata amara in studio. Il messaggio sottinteso era chiaro: Salvini è sempre stato un ministro assente, un “politico da tastiera”, un uomo inadeguato a gestire le “emergenze reali” e buono solo per “selfie e slogan”.
Di fronte a un attacco così diretto, la reazione (o meglio, la non reazione) dei vertici del governo è stata forse ancora più rumorosa delle accuse stesse. Da Matteo Salvini, il diretto interessato, è arrivato inizialmente un silenzio assordato. Quando, giorni dopo, ha provato a replicare durante un evento pubblico, lo ha fatto con una battuta stanca: “Travaglio si vede che non ha trovato parcheggio al Viminale”. Un tentativo di sminuire l’avversario che però, agli occhi di molti, è sembrato un “autogol”. Quello che in passato sarebbe apparso come disinvoltura, oggi, notano gli osservatori, è sembrato solo un segno di stanchezza.

Ma l’imbarazzo più grande è calato da Palazzo Chigi. Giorgia Meloni ha gestito la crisi con una “freddezza glaciale”, evitando accuratamente qualsiasi commento ufficiale. La linea del governo è stata un laconico “non alimentiamo polemiche”. Parole che, invece di difendere il ministro, sono suonate a molti come “un’ammissione implicita” del disagio. Il silenzio della Premier, in questo caso, ha amplificato l’attacco di Travaglio, suggerendo che forse, in fondo, il direttore del Fatto avesse “solo detto quello che molti pensano da tempo”, anche dentro la stessa maggioranza.
L’attacco di Travaglio, infatti, ha scoperchiato un vaso che già ribolliva. Il malumore nel centrodestra è reale. Persino alleati storici della Lega iniziano a prendere le distanze. Emblematica è stata la dichiarazione di Luca Zaia, governatore del Veneto, che, pur senza mai nominare Salvini, ha invocato la necessità di “una Lega moderna, pragmatica, vicina ai cittadini”, sottolineando che “non possiamo vivere di battute e dirette social”. Un messaggio diplomatico ma chiarissimo.
Marco Travaglio, fiutata la debolezza, non ha arretrato di un millimetro. Tornato in televisione pochi giorni dopo, “affilato come un bisturi”, ha rincarato la dose. A chi lo accusava di un attacco personale, ha risposto: “Se dire la verità è un attacco, allora che attacco sia”. E ha aggiunto: “Salvini ha fallito e ora sta trascinando il governo verso il fondo”. Ha persino avuto uno scontro con il capogruppo della Lega, Romeo, che lo accusava di cercare visibilità. La replica di Travaglio è stata fulminante: “Visibilità? Se bastasse quella per governare, Salvini sarebbe imperatore”.
Questo scontro mediatico si è rapidamente trasformato in un processo politico, e i sondaggi sono stati “impietosi”. I numeri mostrano la Lega “scivolare sotto la soglia del 10%” e il gradimento personale di Salvini crollare, persino tra gli elettori di centrodestra. L’attacco di Travaglio ha dato voce a un malessere diffuso.
Ora, il governo Meloni si trova di fronte a una “scelta scomoda”. L’attacco di Travaglio ha messo la Premier a un bivio: continuare a proteggere Salvini, e rischiare che il suo presunto vuoto politico trascini a fondo l’esecutivo, oppure “allontanarlo”, come suggerito dal giornalista, e tentare un nuovo assetto, rischiando però una crisi di governo.
Le parole di Travaglio non sono più solo un’opinione giornalistica. Sono diventate un “termometro del malessere politico” che serpeggia nel Paese. Il dibattito si è spostato dai salotti televisivi ai bar, agli uffici, alle chat. La domanda che tutti si pongono è se Salvini sia ancora un leader o se sia diventato, come suggerito dall’impietoso attacco, solo “una caricatura del passato”.
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