Sanremo, l’Abisso e la Rinascita: Alessandra Amoroso Gela il Festival, Amadeus Non Trattiene le Lacrime

Il Festival di Sanremo non è solo la scintillante celebrazione della musica italiana. A volte, tra un’ovazione e un abito da sogno, diventa uno specchio. Uno specchio che riflette verità crude, storie umane di una potenza devastante. E quest’anno, lo specchio si è incrinato, mostrando un abisso che nessuno si aspettava. La sala stampa, solitamente un alveare di cinismo e frenesia, è piombata in un silenzio irreale. Amadeus, il capitano di questa corazzata, l’uomo dei record, l’eterno sorriso, è impallidito. Le telecamere hanno indugiato sul suo volto, catturando il momento esatto in cui la maschera del presentatore si è sciolta, lasciando posto all’uomo. Sconvolto. Senza parole. Con gli occhi lucidi, che a stento trattenevano lacrime di pura, umana commozione.
La causa di questo terremoto emotivo era seduta a pochi metri da lui. Alessandra Amoroso, al suo debutto assoluto in gara al Festival, ha appena sganciato una bomba. Non una bomba mediatica, studiata a tavolino per far parlare. Una bomba personale, pesante, carica di un dolore che covava da mesi.
“Ho vissuto un periodo estremamente difficile, nell’ultimo anno”. Così ha esordito. Il tono della voce, solitamente squillante e caldo, era teso. Bastava guardarla per capire che non era la solita dichiarazione pre-gara. C’era di più. C’era un’ombra. E poi, la rivelazione: “Ho affrontato una serie di minacce di morte”.
Minacce di morte. Due parole che non appartengono al lessico di Sanremo, che non dovrebbero appartenere al mondo della musica, dell’arte. Eppure, erano lì, sospese nell’aria condizionata della sala stampa. L’artista ha parlato di messaggi di una “crudele natura”. Non si tratta dei soliti “haters”, non delle critiche, anche feroci, a cui ogni personaggio pubblico è purtroppo abituato. Si trattava di un’escalation di odio, una campagna mirata, violenta, che la perseguitava giorno e notte.

Inizialmente, ha confessato, ha cercato di sottovalutarle. Di applicare la vecchia regola del “non ti curar di loro”. Ma il veleno, goccia dopo goccia, penetra. L’odio, quando è così scientifico e implacabile, non scivola via. Si infiltra sotto la pelle, nelle ore notturne, nella solitudine della propria casa. Ha provocato, ha ammesso, “un forte squilibrio emotivo”. L’Alessandra solare, la “Big Family”, l’energia pura sul palco, si stava sgretolando da dentro.
La paura era diventata così totalizzante, il senso di oppressione così insopportabile, da portarla a una decisione drastica, disperata: la fuga. Alessandra Amoroso ha fatto le valigie ed è scappata dall’Italia. Ha scelto la Colombia. Una scelta non casuale. Un luogo sufficientemente lontano, dove sperava di ritrovare l’anonimato, di respirare, di non sentirsi più un bersaglio. Non era una vacanza per ritrovare l’ispirazione. Era un esilio autoimposto per salvare se stessa. Una fuga per la salute mentale, per la sopravvivenza.
Immaginatela. Lontana migliaia di chilometri, in una terra straniera, mentre in Italia la sua musica continuava a suonare. Immaginate la solitudine di chi è costretto a nascondersi non per un crimine, ma per l’odio altrui. L’incubo, però, non si dissolve semplicemente cambiando continente. Il trauma viaggia con te.
Il punto di svolta, il primo raggio di luce in quel tunnel, è arrivato da una telefonata. Dall’altra parte del mondo, la voce del suo migliore amico. Una conversazione che ha segnato, come ha raccontato lei stessa, “una svolta”. La consapevolezza di non poter affrontare quel mostro da sola. Da lì, la decisione più coraggiosa: chiedere aiuto. Alessandra ha iniziato un percorso di terapia. Un viaggio faticoso, doloroso, per ricostruire pezzo per pezzo quell’equilibrio che l’odio aveva mandato in frantumi. Per capire, perdonare, ma soprattutto per perdonarsi. Perdonarsi di essersi sentita fragile, di aver permesso a quel buio di entrare.

E poi, Sanremo. Amadeus l’ha voluta. Per lei, questa non è solo la prima volta in gara dopo anni di inviti e ospitate. È il ritorno. È la dichiarazione pubblica che quel buio non ha vinto. Il palco dell’Ariston, quest’anno, per lei ha un significato che va oltre la classifica. È il traguardo di un percorso di rinascita.
La canzone che ha portato, “Fino a qui”, non è un brano qualsiasi. È la sua storia. È il manifesto della sua caduta e della sua risalita. Il testo, che riecheggia la forza narrativa di un Vasco, è l’elaborazione di quel dolore, la cicatrice trasformata in arte. È il messaggio che vuole lanciare a chiunque stia attraversando un momento difficile, a chi si sente schiacciato dal giudizio, dall’odio, dalla vita.
“Il messaggio chiave”, ha detto, con la voce finalmente ritrovata, “è che nonostante le cadute, è importante sapersi rialzare e trarre insegnamento dagli ostacoli”. Non è retorica. È vita vissuta. È la testimonianza di una donna che è andata all’inferno ed è tornata, portando con sé una canzone.
Ecco perché Amadeus era in lacrime. Le sue non erano lacrime di circostanza. Erano le lacrime di un direttore artistico, ma prima ancora di un padre e di un amico, che comprende il peso specifico di quella presenza sul palco. Ha capito che quella di Alessandra non era solo una partecipazione: era un atto di coraggio estremo. Era la vittoria della luce sull’oscurità, della vita sull’odio che voleva spegnerla.
Mentre l’Italia si prepara a giudicare la sua canzone, la sua performance, il suo vestito, la storia di Alessandra Amoroso ha già squarciato il velo. Ha costretto tutti a fermarsi, a riflettere sulla violenza invisibile che può distruggere una vita, anche quella che da fuori sembra perfetta e dorata. Ha dimostrato che la fragilità non è una colpa, ma chiedere aiuto è il primo atto di forza. E tornare a cantare su quel palco, davanti a milioni di persone, dopo essere stata costretta a fuggire dal proprio paese, non è solo musica. È un trionfo.
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