L’ACCUSA SHOCK DI MALPEZZI SULLA POLIZIA FA ESPLODERE DEL DEBBIO IN DIRETTA

Lo studio di “Dritto e Rovescio” non è un salotto televisivo. È un’arena. E quando la miccia della polemica politica si accende, quell’arena si trasforma in una polveriera. È esattamente quello che è successo durante l’ultima, infuocata puntata dedicata alle violenze del “No Meloni Day”. Al centro del ring, un’accusa di una gravità inaudita, attribuita all’esponente del Partito Democratico Simona Malpezzi, che ha fatto letteralmente perdere le staffe al conduttore, Paolo Del Debbio.
La tensione era palpabile fin dall’inizio. Si discuteva di scontri, di agenti feriti, di caschi e bastoni. Ma la discussione ha preso una piega oscura, quasi eversiva, nel momento in cui è emersa la tesi della sinistra. A farsi interprete del concetto, in studio, è Antonio Caprarica, ma le parole rimbombano come se fossero state pronunciate dalla stessa Malpezzi, diventando il manifesto di un sospetto che serpeggia nell’opposizione.
Qual è il sospetto? È un teorema agghiacciante. “Sostanzialmente”, ha tuonato Caprarica cercando di articolare il pensiero, “la polizia sa benissimo chi sono questi violenti e non fa un’azione di prevenzione”. Un’affermazione già pesantissima. Ma è la motivazione a scatenare l’inferno. Perché la polizia, secondo questa tesi, non interverrebbe? “Perché fa comodo a qualcuno, magari politicamente, averli in piazza e creare incidenti”.
Il macigno è stato lanciato. L’insinuazione non è velata, è diretta. Non si sta parlando di incapacità o di errore di valutazione. Si sta parlando di dolo. Si sta accusando il Ministero degli Interni, e quindi il governo Meloni, di tollerare, se non addirittura incoraggiare, la violenza di piazza per un preciso tornaconto politico: quello di poter poi additare tutti i manifestanti come violenti, criminalizzando l’intero dissenso e compattando l’opinione pubblica a sostegno della linea dura.
Di fronte a questa che suona come un’offesa diretta allo Stato, la reazione di chi difende le forze dell’ordine è stata immediata. L’argomento difensivo della sinistra, portato avanti da Caprarica, ha provato a smarcarsi dall’accusa di “intelligenza col nemico”. Ha evocato gli anni di piombo, sostenendo di aver “visto come la polizia e il Ministero degli Interni è stato capace di gestire situazioni molto più difficili”. Un modo per dire: se oggi non lo fanno, è perché non vogliono.
La difesa si è poi arroccata sul classico “distinguo”. Certo, gli agenti “hanno tutto il diritto di rispondere in modo proporzionato”, ma questo, ha scandito Caprarica, “non significa che si possa criminalizzare, a causa di bande di perturbatori, il dissenso. Questo è inaccettabile!”.

È qui che l’arena si è spaccata in due. Da un lato, la difesa del sacrosanto diritto a manifestare. Dall’altro, la realtà dei fatti: agenti in ospedale. Un rappresentante delle forze dell’ordine in studio ha immediatamente ribaltato il tavolo, partendo dalla Costituzione. “Io vorrei partire subito dall’articolo 17 della Costituzione, che viene calpestato ogni giorno: ‘pacificamente e senza armi’. Non c’è mai stata una manifestazione pacifica in questi giorni! Non c’è mai stata una manifestazione senza armi!”.
Questa è la contro-narrazione. Non esistono “pacifici manifestanti” e “piccole bande di violenti”. Esistono cortei che, nella loro interezza, violano il principio costituzionale della non-violenza, trasformandosi in teatri di guerriglia urbana. La colpa, secondo questa visione, non è della polizia che “reprime”, ma di una politica che da un lato non condanna fermamente la violenza, e dall’altro nega alle forze dell’ordine gli strumenti per operare.
La discussione si è infatti spostata sul “decreto sicurezza” fermo al Senato. “Sono degli strumenti che noi abbiamo chiesto e purtroppo ci vengono negati!”, ha urlato il sindacalista. Strumenti concreti, come le “aree cuscinetto” per tenere i cortei lontani dagli obiettivi sensibili, richieste puntualmente respinte. L’immagine che ne emerge è quella di una polizia mandata allo sbaraglio, con le mani legate, prima aggredita dai violenti in piazza e poi accusata in TV di essere connivente con loro.
È stato troppo. Per Paolo Del Debbio, che aveva ascoltato la marea montante di accuse e giustificazioni, la goccia ha fatto traboccare il vaso. Il conduttore, noto per la sua difesa viscerale delle forze dell’ordine, è esploso in un uragano di rabbia che ha zittito lo studio.
“Oh! Non mi riesce a fare una trasmissione dove di fronte agli attacchi della polizia si denunci! E poi magari si parla…”.
La furia di Del Debbio è la sintesi di un’esasperazione profonda. È l’urlo di chi non accetta più il “ma”. Non si può, secondo il conduttore, mettere sullo stesso piano la violenza subita da un servitore dello Stato e il presunto “diritto al dissenso” di chi quella violenza la usa o la copre. La “distruzione” mediatica della Malpezzi (e della tesi che rappresenta) è avvenuta in quell’istante: nel rifiuto totale di Del Debbio di accettare la premessa intellettuale della sinistra.

Per Del Debbio, la priorità è una sola, non negoziabile: la solidarietà incondizionata a chi indossa una divisa ed è finito all’ospedale per difendere le istituzioni. Tutto il resto – la sociologia del dissenso, le analisi politiche, i distinguo tra buoni e cattivi – viene dopo. Molto dopo. Insinuare, come ha fatto la sinistra, che quegli stessi agenti feriti siano parte di un “disegno politico” per “creare incidenti”, è stata l’offesa finale, l’eresia che ha fatto saltare ogni schema di dibattito.
L’esecuzione mediatica non è stata sottile. È stata un’esplosione di indignazione pura, un atto di accusa contro quella che Del Debbio percepisce come un’ipocrisia intellettuale. La sinistra è stata messa all’angolo: o si sta con gli agenti aggrediti, o si sta con chi, anche solo a parole, ne giustifica gli aggressori o, peggio ancora, accusa i loro comandanti di tradimento.
La puntata si è chiusa nel caos, senza un vincitore, ma con una frattura ancora più profonda. Da un lato, una sinistra che si sente criminalizzata e vede nel pugno duro del governo un pericolo per la democrazia. Dall’altro, una destra e un conduttore che vedono nell’atteggiamento della sinistra un tradimento verso lo Stato e un incoraggiamento, forse involontario ma letale, alla violenza. In mezzo, le immagini degli scontri e la domanda, velenosa, lasciata sospesa nell’arena: “A chi fa comodo tutto questo?”.
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