Svolta Le Pen: onore all'eroico popolo ucraino - il Giornale

L’aria nella sala conferenze di Madrid è carica di un’elettricità che sembra quasi visibile. È un’atmosfera sospesa, dove il tempo scorre più in fretta del normale. È qui, sotto riflettori impietosi, che fa il suo ingresso Marine Le Pen. La leader del Rassemblement National francese non cammina, “domina la scena”, imponendosi sul palco con un misto di determinazione e di quella provocazione calcolata che è diventata il suo marchio di fabbrica.

Ma quello che sta per accadere non è un semplice comizio, né una banale apparizione politica. È, nelle intenzioni della leader, uno “spettacolo di portata geopolitica”. Un intervento chirurgico destinato a “risvegliare coscienze” in un continente che, secondo lei, naviga a vista da troppo tempo, senza una direzione chiara.

Per capire la portata del suo discorso, bisogna guardare al contesto. Solo tre mesi prima, un evento ha “infranto le convinzioni di un ordine globale che appariva immutabile”: la vittoria elettorale di Donald Trump negli Stati Uniti. Quello che per molti è stato uno shock, per Le Pen è un faro. Non è solo la vittoria di un uomo, è un “terremoto che scuote il pianeta”, un punto di svolta che ridefinisce gli equilibri di potere mondiali.

E Le Pen non si limita a osservare. Vuole essere la voce di quel cambiamento in Europa. Il suo messaggio è un ultimatum: l’Europa deve cambiare rotta, prima che sia troppo tardi.

Dall’altra parte dell’Atlantico, quello che Le Pen definisce con ammirazione “l’uragano Trump”, sta già stravolgendo gli equilibri. Il ritorno del magnate alla Casa Bianca è segnato da una “determinazione che incute timore”. La sua promessa di liberare l’America dall’oppressione del “politicamente corretto” non è uno slogan, ma un programma d’azione. E il suo impatto è globale.

In Sudamerica, leader come Javier Milei in Argentina e Nayib Bukele in El Salvador guardano a Washington come a un modello. Il primo, paladino del libertarismo radicale, vede in Trump un alleato nella “crociata contro il socialismo”. Il secondo, con la sua politica di “ferro contro le gang”, trova nella retorica muscolare americana un’eco perfetta per la sua agenda.

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Il mondo, insiste Le Pen, sta cambiando. I vecchi equilibri, costruiti su anni di diplomazia e compromessi, stanno lasciando spazio a un “pragmatismo senza fronzoli”. Di fronte a questa realtà innegabile, la leader francese si volta verso il suo continente e lancia l’accusa.

Mentre Trump avanza con la forza di un carro armato, l’Unione Europea, secondo Le Pen, “somiglia a un gigante ferito”, incapace di reagire. Bruxelles, un tempo simbolo di un’unità tecnocratica, appare ora in piena crisi esistenziale.

Il secondo mandato di Ursula von der Leyen alla Commissione Europea, secondo la leader francese, “si trascina tra difficoltà e incertezze”. Quella che un tempo era percepita come una leader competente, oggi è “quasi scomparsa dalla scena pubblica”. I palazzi del potere europeo, dal 20 gennaio (giorno dell’insediamento di Trump), sono in preda al panico. Gli eurodeputati, accusa Le Pen con sarcasmo tagliente, vagano incerti in sessioni di voto che “somigliano più a riunioni di beneficenza organizzate da ONG che a vere decisioni politiche”.

È un’immagine impietosa. Mentre il mondo accelera, Bruxelles è paralizzata. I dati, secondo Le Pen, confermano questa paralisi in ogni settore strategico.

Il primo, e forse più clamoroso, fallimento è il settore energetico. Il Green Deal, fiore all’occhiello della Commissione von der Leyen, doveva salvare il pianeta. Si è invece trasformato, denuncia Le Pen, in un “vincolo soffocante per le economie europee”. La Germania, un tempo motore instancabile dell’Unione, “fatica a rimanere in piedi”, stretta tra blackout sempre più frequenti e costi energetici insostenibili. La stessa Francia, nonostante la sua solida tradizione nucleare, si ritrova costretta a seguire “rigide direttive ambientali” che Le Pen bolla come “un’ideologia priva di fondamento”.

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Poi c’è “la ferita aperta”, il nodo cruciale dell’immigrazione. Per la leader del Rassemblement National, “l’accoglienza incontrollata rappresenta un pozzo senza fondo”. Un pozzo che “prosciuga le risorse pubbliche, aumenta il sovraffollamento carcerario e alimenta paure diffuse tra i cittadini”. Paesi come Italia, Spagna e Grecia sono lasciati soli a subire una pressione che mette a dura prova i bilanci e la tenuta sociale.

Ma il malcontento, sottolinea Le Pen, non è più solo una questione di sicurezza. È l’economia reale che sta andando a fuoco. L’industria è in rivolta. Il divieto imposto da Bruxelles ai motori a combustione interna, sostenuto con “fervore quasi dogmatico”, ha scatenato l’ira delle case automobilistiche tedesche e francesi, che vedono i loro profitti erosi dalla concorrenza cinese e americana.

E non sono solo le fabbriche. Anche il settore agricolo è in “subbuglio”. Agricoltori dall’Olanda, dalla Polonia e dalla Romania si ribellano, uniti contro “regolamenti giudicati insostenibili” che li stanno strangolando.

Di fronte a questo scenario di crisi interna, l’impotenza, secondo Le Pen, si manifesta anche sul piano internazionale. Dalla guerra in Ucraina alle tensioni in Medio Oriente, le scelte dell’UE sono “mere dimostrazioni di impotenza, se non addirittura un pericolo”. L’esempio più emblematico è la crisi ucraina. Mentre Trump, dice Le Pen, cerca un “approccio pragmatico” per un’intesa con Mosca, “Bruxelles insiste su una linea dura” che appare più una sterile questione di “principio” che una strategia efficace.

Il risultato? L’influenza dell’Europa si assottiglia, “schiacciata tra la determinazione americana e il pragmatismo russo”.

In questo quadro devastante, Le Pen affonda il colpo finale, rilanciando la sua battaglia politica storica: la contrapposizione tra la crescita e la “decrescita forzata” imposta da Bruxelles. “Avevamo ragione noi”, afferma con convinzione. “Nel 2019, quando ci opponemmo al Green Deal, fummo accusati di oscurantismo. Oggi, la realtà conferma i nostri timori”.

Lo stesso vale per il Patto sulla Migrazione, che Marine Le Pen non esita a definire, con parole incendiarie, un “piano di sostituzione demografica programmata”. È un’idea che i progressisti respingono con sdegno, ma che, secondo lei, trova sempre più consenso tra gli elettori da Varsavia a Vienna.

La visione della leader francese è chiara: l’Europa non può e non deve essere ridotta a un “semplice mercato”, un “grande supermercato” governato da una burocrazia senz’anima. Deve riscoprirsi come una “comunità di popoli, con una storia e una civiltà condivise”.

E qui il suo discorso si ricollega al punto di partenza: Donald Trump. Il suo celebre slogan, “Make America Great Again”, non è, per Le Pen, un segnale di dominio americano, ma un “principio ispiratore”. Un monito rivolto agli europei: “Reagite. Difendete voi stessi”.

L’intervento di Marine Le Pen a Madrid si chiude così con un appello potente, un richiamo alla battaglia culturale. “Basta con il senso di colpa! Basta con il fatalismo che ha ridotto l’Europa a una pallida ombra di ciò che era!”. Per la leader francese, l’Europa deve ritrovare lo spirito degli esploratori e degli innovatori che hanno plasmato la storia. Invece, accusa, il continente ha scelto una via fatta di “regole soffocanti e moralismi sterili”, una direzione che la sta conducendo dritta verso una crisi profonda e, forse, irreversibile.