DEL DEBBIO ESPLODE DOPO L’INSULTO DI LANDINI A MELONI E LO UMILIA DAVANTI A TUTTI

L’aria nello studio era pesante, quasi stagnante. Carica di quell’elettricità tipica delle serate in cui i nervi sono tesi e il dibattito minaccia di deragliare. Paolo Del Debbio, seduto al centro con la sua figura imponente, aveva l’aria di chi ne ha sentite troppe. Di fronte a lui, Maurizio Landini, il tribuno della CGIL, stava recitando il suo solito copione: un’arringa contro il governo, dipinto come “pericoloso”, un’entità che sta “rovinando l’Italia pezzo dopo pezzo”.
Landini parlava di sanità pubblica “smantellata”, di salario minimo “bloccato”, di un “attacco sistematico ai diritti”. Un quadro a tinte fosche, un catastrofismo calibrato per infiammare. Del Debbio lo osservava, la sua pazienza, già sottile, che si assottigliava a ogni parola. Un leggero corrugamento della fronte, un sospiro appena percepibile. La calma prima della tempesta.
Appena Landini ha terminato la sua requisitoria, Del Debbio ha preso la parola. E non è stato un intervento da moderatore. È stato un atto d’accusa. “Signor segretario Landini,” ha esordito Del Debbio, la voce profonda che riempiva lo studio, “il quadro apocalittico che lei ha dipinto mi sembra più la sceneggiatura di un film di fantascienza che la realtà”.
È stato l’inizio della demolizione. Del Debbio, implacabile, ha smontato ogni punto. “Lei parla di tagli alla sanità pubblica? Ma di quali tagli sta parlando? Il fondo sanitario nazionale è stato aumentato”. Ha continuato sul salario minimo: “Lei lo usa come uno slogan, ma non si preoccupa di spiegare le conseguenze, i rischi per l’occupazione”. Il tono si è fatto più duro: “Le sue sono bugie, segretario. Bugie dette in diretta senza alcun pudore per alimentare una narrativa catastrofista”.
Landini, visibilmente teso, ha tentato di intervenire, ma Del Debbio lo ha fulminato. “No, segretario, un momento. Ha avuto il suo tempo per le sue farneticazioni. Ora tocca a me”. L’attacco si è spostato sulla retorica dell’odio. “Lei parla di clima di odio e polarizzazione. Ma mi spieghi, chi è che scende in piazza ogni giorno a demonizzare l’avversario? Siete voi che create la polarizzazione, che producete l’odio!”.
Il conduttore si è sporto in avanti, lo sguardo d’acciaio fisso su un Landini ormai paonazzo. “Lei dovrebbe essere la voce dei lavoratori, e invece cosa fa? Si trasforma in un tribuno politico preoccupato più di lanciare slogan che di risolvere i problemi. Questo non è fare il sindacalista, segretario, questo è fare politica spicciola di bassa lega!”.
Del Debbio lo ha accusato di aver perso “completamente il contatto con la realtà”, di essere prigioniero di “pippe mentali”. Landini era alle corde, livido, la sua sicumera crollata sotto i colpi di un’accusa diretta e brutale. La rabbia gli bruciava negli occhi, ma era una rabbia impotente.

Messo all’angolo, con la schiuma alla bocca e la disperazione negli occhi, Landini ha cercato la via di fuga nella provocazione. Ha commesso l’errore fatale. Ha deciso di giocare l’ultima carta, la più sporca. “Ma di quale rispetto parla lei, conduttore?” ha urlato, la voce stridula. “Io ho già detto quello che penso di questa Presidente del Consiglio. L’ho detto e lo ribadisco! Io ho detto che la Meloni fa la cortigiana di Donald Trump!”.
La parola “cortigiana” è risuonata nello studio come un colpo di pistola. Un insulto volgare, sessista, ripetuto con sfrontatezza.
In quell’istante, la già tenue pazienza di Paolo Del Debbio si è spezzata. La sua espressione si è contorta in una maschera di rabbia purissima. Si è alzato di scatto dalla poltrona, un gesto di una violenza inaudita. La sua figura imponente ha dominato la scena, il suo indice tremante puntato contro Landini come un’arma.
“ANCORA CON QUELLA PAROLA, SEGRETARIO?” ha tuonato Del Debbio. La sua voce era un ruggito che ha fatto tremare le pareti, una furia incontenibile. “Ancora con quell’insulto volgare e sessista? Ancora con quella bassezza indegna di un dibattito civile?”.
Del Debbio ha fatto un passo avanti, la sua presenza incombeva su un Landini ormai terrorizzato. “Lei ha infangato le istituzioni! Ha offeso la dignità della Presidente del Consiglio! Ha calpestato ogni principio di rispetto! Questo non è più un dibattito, segretario, questo è un circo che lei sta alimentando con le sue provocazioni da quattro soldi!”.
Landini era distrutto, annientato. Il suo volto era sbiancato, gli occhi sbarrati, la bocca aperta in un rantolo muto. Tremava.
Del Debbio ha pronunciato la sentenza finale, la sua voce un tuono che non ammetteva repliche. “Lei ha superato ogni limite. Ogni singolo fottutissimo limite! LEI È FUORI! ESCA IMMEDIATAMENTE DA QUESTO STUDIO! SUBITO! Non la voglio più vedere! Vada a fare le sue sceneggiate altrove!”.

In quel momento, il pubblico, fino ad allora attonito, è esploso in un’ovazione assordante e liberatoria per Del Debbio. Era una catarsi collettiva, il trionfo della decenza sull’arroganza.
Maurizio Landini, in preda a un’umiliazione cocente, non ha osato guardare nessuno. Il suo volto era una maschera di vergogna. Si è alzato, un automa mosso dalla fuga, e con passi rapidi e incerti è fuggito verso le quinte, un’ombra che spariva nel buio, travolto dagli applausi per il suo giustiziere.
Paolo Del Debbio lo ha seguito con lo sguardo, poi si è rivolto alla telecamera, il volto ancora teso. “Così si fa in questo studio,” ha tuonato, come monito. “Con il rispetto, con la serietà. Chi non rispetta le regole minime della civiltà, chi scambia un’arena per un cortile, non ha posto qui. E non avrà mai più posto”.
La partita era finita. Una vittoria non solo dialettica, ma etica. Una lezione indimenticabile, scolpita a fuoco nella memoria televisiva: la volgarità, prima o poi, presenta il conto. E questa volta, il conto era salatissimo.
News
End of content
No more pages to load

