BELPIETRO RIVELA: “AL QUIRINALE COMPLOTTANO PER FAR CADERE IL GOVERNO DI GIORGIA MELONI” I NOMI

Roma – Ci sono momenti in cui il velo della diplomazia si squarcia e la brutale realtà del potere appare in tutta la sua nudità. Quello che è andato in scena non è stato un semplice dibattito televisivo, ma un vero e proprio duello all’ultimo sangue tra la verità scomoda, incarnata da Maurizio Belpietro, e l’arroganza delle istituzioni non elette, rappresentata da Francesco Saverio Garofani. Un confronto che ha svelato quello che molti temevano ma che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di sbattere in prima pagina: esiste un piano, o quantomeno una “consuetudine”, per ribaltare il governo Meloni?
L’Arena di Ghiaccio e il Mandarino di Stato
La scena descritta sembra tratta da un thriller politico, ma i protagonisti e la posta in gioco sono tremendamente reali. Da una parte Belpietro, immobile e glaciale come un predatore che ha fiutato la preda; dall’altra Garofani, l’uomo del Quirinale, avvolto in un abito sartoriale e in un’aura di intoccabile superiorità. Garofani non è un politico che deve chiedere voti; è un burocrate, un “mandarino dello Stato” che osserva le elezioni con la stessa fastidiosa sufficienza con cui si guarda un bambino che fa i capricci.
Quando Belpietro lo incalza sulle voci di manovre di palazzo per destabilizzare l’esecutivo, la risposta di Garofani è da manuale del “Deep State”: un sorriso condiscendente e la negazione assoluta. “Le istituzioni non complottano, garantiscono”, afferma. Ma è proprio in questa parola, “garantire”, che si nasconde l’insidia.
La Lezione di Storia: 1994 e 2011
Belpietro non si lascia incantare. Con la precisione di un chirurgo, smonta la retorica istituzionale pezzo per pezzo, ricordando agli italiani che la “garanzia” ha spesso coinciso con il ribaltamento della volontà popolare. Il direttore rievoca i fantasmi del passato: il 1994, quando il primo governo Berlusconi fu fatto cadere da un’indagine a orologeria per lasciare spazio a un tecnico; e il 2011, quando l’arma dello “spread” fu puntata alla tempia dell’Italia per costringere alle dimissioni un governo con la più ampia maggioranza della storia repubblicana, sostituendolo con Monti.
“Il dottore le chiama garanzie, io le chiamo precedenti operativi”, affonda Belpietro. E qui la maschera di Garofani inizia a creparsi. Non si tratta di coincidenze, ma di un copione già scritto che qualcuno, nei corridoi ovattati del Colle, sembra voler rispolverare.

La Confessione Agghiacciante
Ma il vero colpo di scena, quello che trasforma questo confronto in un momento di verità storica, arriva alla fine. Messo alle strette sull’identità politica del suo ruolo – Garofani è un ex parlamentare PD, non un tecnico neutrale – l’uomo delle istituzioni perde il controllo. L’arroganza, ferita a morte, esplode in una confessione che suona come una sentenza di condanna per l’intera classe dirigente non eletta.
“Ma davvero pensate che il paese possa essere lasciato in balia degli umori del popolo?” sbotta Garofani, ormai fuori di sé. “Il nostro compito è proteggere l’Italia, a volte anche dagli italiani stessi”.
È la frase che dice tutto. È la prova regina. Non è un complotto, è un’ideologia. L’idea che il voto sia un “umore” pericoloso, che la democrazia sia un rischio da arginare e che ci sia bisogno di “custodi” superiori che correggano gli errori degli elettori.

Il Crollo del Potere
Di fronte a questa ammissione, non serve aggiungere altro. Belpietro si alza e se ne va, lasciando Garofani solo, sotto le luci impietose dello studio, a sudare freddo mentre realizza la portata del suo suicidio mediatico. Quella goccia di sudore che cola sulla tempia del burocrate è l’immagine della sconfitta di un sistema che pensava di essere intoccabile.
La rivelazione è servita: il pericolo per il governo Meloni non viene dall’incapacità o dai mercati, ma da chi, all’interno dello Stato, si sente investito della missione divina di “salvarci” da noi stessi. Belpietro ha suonato l’allarme. Ora sta agli italiani decidere se vogliono essere ancora una volta “protetti” o se, finalmente, vogliono essere liberi di decidere il proprio destino.
“Non lo chiamano complotto, lo chiamano protezione. Ora sapete da chi dovete proteggervi”.
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